Rapporto Portolan sulla povertà del ceto medio in Italia
Secondo l’ISTAT, nel 2025 il 60% della popolazione italiana vive in condizioni di povertà o di difficoltà economica.
Tuttavia, incrociando i dati ufficiali con un’analisi indipendente, stimo che la quota reale delle persone che “non arrivano a fine mese” sia pari al 90% della popolazione che opera nell’economia di mercato privata.
Da dove nasce questa differenza?
Il 90% non riguarda l’intera popolazione italiana, ma solo chi è esposto direttamente alle logiche del mercato, cioè:
- lavoratori dipendenti privati
- partite IVA
- imprese
- individui e famiglie senza rendite ereditate
Questa distinzione esclude alcune categorie relativamente più protette.
1. La popolazione di riferimento
Partendo da una popolazione complessiva di 60 milioni di abitanti, Portolan esclude:
- Dipendenti pubblici – circa 4 milioni di persone: godono di maggiore stabilità e garanzie, quindi meno esposti al rischio di indigenza.
- Proprietari ereditieri – circa 6 milioni di persone: pur operando talvolta nel privato, possiedono patrimoni immobiliari ereditati, concentrando l’80% delle proprietà nazionali. Vivono in gran parte di rendita (affitti), non subendo le dinamiche di rischio tipiche del mercato.
Dopo queste esclusioni, restano 50 milioni di persone realmente immerse nella competizione economica.
2. Chi “ce la fa” e chi no
Di questi 50 milioni:
- Circa il 10% (imprenditori di successo, professionisti di alto livello, partite IVA eccellenti) mantiene un buon tenore di vita.
- Il restante 90% – circa 45 milioni di persone – fatica a coprire le spese necessarie, pur lavorando. Questa platea include famiglie monoreddito, giovani adulti che dipendono dai genitori e nuclei in cui le entrate sono insufficienti a garantire un livello di vita dignitoso.
3. Differenze con la stima ISTAT
L’ISTAT, applicando il proprio paniere di beni di consumo e le soglie di povertà relative, stimava 36 milioni di italiani in difficoltà economica (60% di 60 milioni).
Il mio studio, invece, modifica il paniere ISTAT includendo spese spesso ignorate, come:
- spese condominiali
- costi energetici reali
- mantenimento dell’auto
- aumento del costo della vita in città
Inoltre, calcola il reddito minimo di sussistenza in:
- 3.000 € mensili per un single
- 5.000 € mensili per una famiglia di quattro persone
Queste cifre sono ben superiori alla media reale degli stipendi italiani (meno di 2.000 € al mese), spiegando perché anche chi ha un lavoro a tempo indeterminato nel privato rientri nella definizione di “lavoratore povero”.
4. Povertà anche tra i professionisti
La ricerca evidenzia che la crisi del ceto medio non riguarda solo operai o impiegati, ma anche liberi professionisti.
Categorie come dentisti, avvocati, architetti e psicologi spesso, tolte le spese di gestione, si ritrovano con guadagni netti inferiori a quelli dei loro stessi dipendenti.
Il problema, a mio parere, non è lo sfruttamento, ma la struttura stessa del sistema economico: le imprese sono costrette a mantenere bassi gli stipendi per sopravvivere.
Conclusioni
Il 90% di chi opera nel mercato privato in Italia non arriva a fine mese.
Questa non è un’affermazione ideologica ma una constatazione basata su dati e criteri misurabili.
In un contesto dove persino imprenditori e professionisti faticano a sostenersi, il capitalismo italiano appare inadeguato a garantire prosperità diffusa.
Fonti ufficiali
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ISTAT, Rapporto Annuale 2025 – La situazione del Paese, istat.it
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ISTAT, Condizioni di vita e reddito delle famiglie – Anni 2023-2024, istat.it
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ISTAT, Povertà in Italia – Anno 2024, istat.it
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Eurostat, Income and Living Conditions – EU-SILC 2024, ec.europa.eu/eurostat
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Ministero del Lavoro, Rapporto annuale sulla povertà lavorativa in Italia – 2025
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