L’intelligenza artificiale sostituirà il nostro lavoro?
In 21 Paesi, oltre la metà degli intervistati (54%) ha dichiarato di ritenere «probabile o certo» che il proprio lavoro verrà sostituito da una macchina nei prossimi dieci anni. A raccogliere e rappresentare questi dati è stata Visual Capitalist, attraverso un’infografica basata sul sondaggio Global Public Opinion on Artificial Intelligence (GPO-AI), promosso dallo Schwartz Reisman Institute for Technology and Society (SRI) insieme al Policy, Elections, and Representation Lab (PEARL) della Munk School of Global Affairs & Public Policy dell’Università di Toronto.
Più della metà degli intervistati immagina un futuro in cui la distinzione tra lavoro umano e intelligenza artificiale si assottiglia sempre più, trasformandosi in algoritmi e server distribuiti in tutto il mondo. Anche senza l’indicazione dei singoli Paesi, questo dato globale segna una frattura tra presente e futuro del lavoro. Un rapporto dell’OCSE, ad esempio, segnala che il 27% delle occupazioni nei Paesi membri è «a rischio automazione». Parallelamente, il World Economic Forum prevede che entro il 2030 verranno creati 170 milioni di nuovi impieghi a livello globale, mentre 92 milioni andranno persi (pari all’8% dell’occupazione totale), con un saldo positivo di circa 78 milioni di posti. Resta però il nodo delle transizioni: la maggioranza dei lavori – circa il 78% – non sparirà, ma subirà trasformazioni dovute al progresso tecnologico.
Guardando ai dati del sondaggio, emergono differenze significative tra aree del mondo. In India il 75% degli intervistati crede che il proprio impiego verrà sostituito; in Pakistan la percentuale scende di poco, al 72%, mentre in Indonesia sale al 76%. All’opposto, Paesi come Germania, Giappone e Canada si mostrano più fiduciosi: in Germania solo il 34% teme l’automazione, in Giappone appena il 5% è convinto che la sostituzione sia inevitabile. In sintesi, i Paesi economicamente più avanzati sembrano più preoccupati delle conseguenze dell’intelligenza artificiale.
Non mancano voci autorevoli a rafforzare queste paure: Geoffrey Hinton, premio Nobel per l’economia e tra i pionieri dell’Ai, in un’intervista al Financial Times ha affermato che «l’intelligenza artificiale provocherà disoccupazione di massa e una forte concentrazione della ricchezza: pochi diventeranno molto più ricchi, mentre la maggioranza si impoverirà». Una dinamica che, secondo lui, non è colpa della tecnologia in sé, ma del sistema capitalistico che ne determina gli effetti.
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