La crisi del ceto medio in occidente e il tramonto della sua classe sociale
DALLE CONTRADDIZIONI INTERNE ALLA PIANIFICAZIONE GOVERNATIVA DA PARTE DEI POTERI FORTI
DAI DIALOGHI CON GEMINI
di Giulio Portolan(*)
INTRODUZIONE
Dialoghiamo con Gemini su questo tema, per trarre brevemente un sunto sulle contraddizioni intrinseche al Ceto medio, le quali poi favoriscono una certa passività rispetto alla politiche degli Stati interessate alla modificazione radicale del tessuto sociale al loro interno, fino alla scomparsa del Ceto medio come classe sociale interpretata come inutile intralcio al tramonto dello Stato di diritto e alle logiche di dominio dei Poteri Forti.
(*) noto intellettuale italiano
PORTOLAN: Gemini, l'Occidente ormai, con stili di vita comuni e consolidati, ha invaso il mondo.. A quando ammonta numericamente nel mondo il Ceto medio inteso come fascia della popolazione mondiale che, anche con tutte le difficoltà, può contare su lavoro e un minimo di reddito per poter vivere serenamente in modo dignitoso?
GEMINI: Definire il ceto medio a livello globale è complesso, poiché le soglie di reddito e il concetto di "vita dignitosa" variano enormemente tra i diversi paesi e regioni. Tuttavia, diverse organizzazioni e studi hanno cercato di quantificare questa fascia di popolazione.
Secondo alcune stime, il numero di persone che fanno parte del ceto medio a livello globale si aggira sui 4 miliardi. Questo dato è in continua crescita, soprattutto a causa dell'espansione economica in paesi emergenti come la Cina e l'India. Alcune proiezioni indicano che entro il 2031 questa cifra potrebbe salire a 5 miliardi.
È importante notare che:
- Definizione variabile: Non esiste una definizione univoca di ceto medio. Spesso si basa sul reddito pro capite, ma anche sul potere d'acquisto e sulla capacità di accesso a beni e servizi (come istruzione, sanità, abitazione e svago).
- Crescita nei Paesi emergenti: Mentre nei paesi occidentali il ceto medio ha visto una certa stagnazione o, in alcuni casi, una riduzione del suo potere d'acquisto, la sua crescita più significativa si sta verificando in Asia, Africa e America Latina.
- Disuguaglianze: Anche all'interno del ceto medio globale, le differenze sono notevoli. Il ceto medio occidentale, ad esempio, gode di un livello di reddito e di sicurezza economica molto più elevato rispetto a quello dei paesi emergenti.
In sintesi, sebbene la globalizzazione abbia contribuito a diffondere stili di vita e consumi simili, il concetto di ceto medio rimane un'entità complessa e numericamente dinamica, la cui crescita è guidata principalmente dai paesi in via di sviluppo.
PORTOLAN: le stime, tu dici, riportano che il quantitativo è destinato ad aumentare. Eppure nei paesi come l’Europa USA, si parla di crisi e di tramonto di questa Classe sociale…
GEMIINI: Certo, è un'osservazione molto pertinente. La percezione di una crisi del ceto medio in Europa e negli Stati Uniti non è in contraddizione con la crescita del ceto medio a livello globale, ma riflette due dinamiche diverse in atto.
Crescita globale del ceto medio
La crescita numerica di cui si parlava nel mio precedente messaggio è guidata principalmente dai Paesi emergenti, in particolare in Asia, come Cina e India. In queste regioni, milioni di persone che prima vivevano in condizioni di povertà o a un livello di sussistenza stanno raggiungendo un reddito sufficiente a essere considerate parte della classe media. Questo fenomeno è il risultato di un'urbanizzazione rapida e di un forte sviluppo economico.
Declino del ceto medio in Occidente
Nei Paesi sviluppati, la situazione è molto diversa. Il ceto medio tradizionale, pilastro delle società occidentali nel dopoguerra, sta affrontando una serie di sfide che ne stanno erodendo la stabilità economica:
- Stagnazione dei redditi: Per decenni, i salari della classe media in molti Paesi occidentali sono rimasti fermi o sono cresciuti molto più lentamente rispetto all'inflazione e ai costi dei beni primari.
- Aumento del costo della vita: I prezzi di abitazioni, istruzione, sanità e altri servizi essenziali sono aumentati a un ritmo vertiginoso, rendendo difficile per molte famiglie mantenere il tenore di vita a cui erano abituate.
- Aumento della precarietà: La globalizzazione e l'evoluzione tecnologica hanno portato a una maggiore instabilità lavorativa, con la diffusione di contratti precari e la scomparsa di lavori che offrivano stabilità a lungo termine.
- Aumento delle disuguaglianze: La ricchezza si è concentrata sempre più nelle mani di una piccola élite, mentre il ceto medio si è trovato "schiacciato" tra i ceti più abbienti e le fasce di popolazione a basso reddito.
In sintesi, la "crisi" del ceto medio in Occidente non significa che queste persone stiano scomparendo, ma che la loro posizione economica e sociale è diventata molto più vulnerabile e incerta rispetto al passato, un fenomeno che si contrappone alla formazione di nuove fasce di ceto medio nei Paesi emergenti.
PORTOLAN: Pur non potendo dire che queste difficoltà sono pianificate dai Poteri Forti e dal Governi, si può dire che la maggiore vulnerabilità sia economica sia ideologica del Ceto medio, potrebbe costituire l’occasione per il “potere” per rivedere se non intaccare i diritti civili e politici così faticosamente raggiunti nella storia di queste Paesi?
GEMINI: La sua riflessione tocca un punto cruciale del dibattito sociologico e politico contemporaneo. Sebbene sia difficile attribuire le attuali difficoltà a un piano deliberato da parte di "poteri forti" o governi, la storia e la teoria politica suggeriscono una forte correlazione tra la stabilità economica di una società e la solidità delle sue istituzioni democratiche.
Il legame tra stabilità economica e diritti politici
La teoria politica classica, fin da Aristotele, ha riconosciuto il ruolo cruciale di una robusta classe media come pilastro della stabilità sociale e politica. Il ceto medio, con il suo interesse a preservare l'ordine e la prosperità, tende a sostenere governi moderati e a promuovere un sistema di diritti e doveri equilibrato.
Quando questa fascia della popolazione sperimenta un'insicurezza economica e un senso di declassamento, diversi fenomeni possono manifestarsi:
- Erosione della fiducia: La crisi economica del ceto medio spesso si traduce in una perdita di fiducia nelle istituzioni politiche, economiche e nei partiti tradizionali, percepiti come incapaci di proteggere i loro interessi.
- Aumento del malcontento: Il malcontento sociale può crescere, rendendo le persone più inclini a sostenere movimenti populisti o leader che promettono un ritorno alla stabilità e una rinegoziazione dei diritti, a volte a discapito delle garanzie democratiche.
- Appello alla sicurezza: In un contesto di insicurezza, la priorità si sposta dalla salvaguardia delle libertà individuali alla ricerca di maggiore sicurezza, sia essa economica o sociale. Questo può portare a un'accettazione, o persino a una richiesta, di politiche che limitano le libertà in cambio di un presunto ordine o protezione.
Il rischio di "svuotamento" dei diritti
Non si tratta necessariamente di una cancellazione esplicita dei diritti civili e politici, ma piuttosto di un loro progressivo "svuotamento" dall'interno. Le istituzioni democratiche potrebbero rimanere formalmente in vigore, ma il loro funzionamento effettivo potrebbe essere indebolito da normative che limitano la protesta, la libertà di espressione o l'indipendenza della giustizia, spesso giustificate in nome della stabilità, della sicurezza o della lotta contro il crimine.
In questo senso, la vulnerabilità economica e ideologica del ceto medio, come lei ha notato, può creare un terreno fertile per un'evoluzione del potere verso forme meno inclusive o tolleranti, intaccando gradualmente il tessuto democratico e i diritti faticosamente conquistati.
PORTOLAN:
Abbiamo in Italia tra hikikomori e NEET, quasi 2 milioni di ragazzi e giovani adulti che si ritirano socialmente, non studiano e non lavorano. E’ questo un aspetto della crisi del Ceto medio?
GEMINI:
Sì, il numero dei NEET in Italia si avvicina ai 2 milioni, mentre gli hikikomori sono in numero significativamente inferiore. I due fenomeni, sebbene talvolta sovrapposti, non sono la stessa cosa.
Chi sono i NEET e gli Hikikomori?
NEET L'acronimo NEET sta per "Not in Education, Employment, or Training" (non occupato in istruzione, impiego o formazione). Si riferisce a una categoria statistica utilizzata per descrivere i giovani di età compresa tra i 15 e i 34 anni che non studiano, non lavorano e non sono impegnati in alcun tipo di percorso formativo. Il termine è puramente tecnico e non ha implicazioni psicologiche. Molti giovani NEET possono essere attivamente alla ricerca di un'occupazione, pur rientrando in questa categoria. L'Italia ha una delle percentuali di NEET più alte d'Europa, con oltre 2 milioni di giovani che rientrano in questa definizione nel 2024.
Hikikomori Il termine hikikomori (dal giapponese "stare in disparte, isolarsi") descrive un fenomeno di ritiro sociale volontario che si manifesta con l'isolamento prolungato nella propria casa. A differenza dei NEET, gli hikikomori soffrono di un disturbo psicologico che li porta a evitare ogni contatto sociale, spesso per mesi o anni. Pur essendo spesso NEET, l'isolamento è la loro caratteristica principale, e non si tratta di una scelta dovuta alla mancanza di opportunità, ma di una condizione di malessere psicologico che impedisce l'interazione con il mondo esterno. In Italia, le stime sul numero di hikikomori variano, ma si attestano tra i 100.000 e i 200.000 casi.
Differenze e Relazioni
- Natura del fenomeno: I NEET sono una categoria socio-economica che descrive lo stato occupazionale e formativo di un giovane. Gli hikikomori sono una condizione psicologica che porta all'isolamento.
- Motivazione: I NEET possono essere inattivi per vari motivi (disoccupazione, mancanza di opportunità, scelta personale, etc.), mentre l'hikikomori è un isolamento dettato da un profondo disagio psicologico.
- Numero: Il numero di NEET è molto più elevato rispetto a quello degli hikikomori. Sebbene un hikikomori sia quasi sempre un NEET, la maggior parte dei NEET non è un hikikomori.
- Cause: Le cause del fenomeno NEET sono spesso legate a fattori economici e sociali (crisi economica, disoccupazione, inefficacia dei percorsi di istruzione), mentre le cause dell'hikikomori sono più complesse e di natura psicologica, sebbene fattori sociali come l'eccessiva pressione scolastica o l'inadeguatezza percepita possano contribuire.
I fenomeni dei NEET e degli hikikomori possono essere considerati aspetti della più ampia crisi del ceto medio in Italia. Sebbene non siano l'unica causa, le difficoltà socio-economiche del ceto medio contribuiscono in modo significativo a questi fenomeni.
La connessione con la crisi del ceto medio
La crisi del ceto medio si manifesta con:
- Difficoltà economiche: il potere d'acquisto si è eroso, e le famiglie faticano a mantenere lo stesso tenore di vita delle generazioni precedenti.
- Blocco dell'ascensore sociale: l'idea che ogni generazione stia meglio della precedente non è più una certezza. Per i giovani, il percorso formativo e lavorativo non garantisce più la stessa sicurezza economica che ha contraddistinto i loro genitori. La laurea non è più un passpartout per un lavoro stabile, portando a una de-motivazione diffusa.
- Eccessive aspettative: i giovani, soprattutto quelli provenienti da famiglie di ceto medio, crescono con forti aspettative di successo accademico e professionale. Quando queste aspettative non si concretizzano a causa delle difficoltà del mercato del lavoro, si genera un forte senso di fallimento e inadeguatezza.
Come la crisi influisce su NEET e Hikikomori
Questa combinazione di fattori crea un terreno fertile per lo sviluppo dei fenomeni che hai menzionato:
- NEET: l'elevato numero di giovani NEET in Italia è strettamente collegato alla mancanza di opportunità di lavoro stabili e soddisfacenti. Molti giovani, non trovando un impiego che rispecchi il loro percorso di studi o le loro aspettative, finiscono per arrendersi e uscire dal circuito lavorativo e formativo.
- Hikikomori: sebbene l'hikikomori sia un fenomeno psicologico complesso, la crisi del ceto medio può agire da fattore scatenante. La pressione a conformarsi alle aspettative sociali di successo, combinata con la paura del fallimento, può portare a un profondo disagio psicologico che sfocia nel ritiro sociale. Il timore di non essere all'altezza e di deludere la famiglia può spingere i giovani a isolarsi completamente dal mondo esterno. La ricerca ha anche mostrato che i casi di hikikomori sono più frequenti in famiglie di estrazione socio-economica medio-alta.
PORTOLAN: Si parla quindi di crisi del passaggio generazionale...
GEMINI: Certamente, la crisi del ceto medio e i fenomeni dei NEET e degli hikikomori sono tutti aspetti di una più ampia crisi del passaggio generazionale.
Questa "crisi" o "blocco" generazionale si manifesta in diversi modi:
- Mobilità sociale bloccata: A differenza delle generazioni precedenti, i giovani di oggi non hanno la garanzia di raggiungere una posizione sociale ed economica migliore o uguale a quella dei loro genitori, nonostante un livello di istruzione spesso superiore.
- Precarietà del lavoro: La stabilità lavorativa che era una norma per i padri e le madri del ceto medio non esiste più. I giovani si trovano a fronteggiare contratti precari, salari bassi e frequenti periodi di disoccupazione, che rendono difficile pianificare il futuro.
- Percezione del fallimento: La pressione sociale per il successo, ereditata dalle aspettative del ceto medio, si scontra con una realtà in cui le opportunità sono scarse. Questo divario tra aspettative e realtà può generare un senso di fallimento, ansia e disillusione, che può portare al ritiro sociale (come nel caso degli hikikomori) o all'inattività (come per i NEET).
- "Disconnessione" dal futuro: La mancanza di prospettive stabili e l'incertezza economica portano molti giovani a "mettersi in pausa" o a non riuscire a intraprendere le tappe tipiche dell'età adulta, come l'indipendenza economica, la formazione di una famiglia o l'acquisto di una casa.
Questi fenomeni non sono solo problemi individuali o familiari, ma sintomi di un più vasto malessere strutturale che mina le fondamenta sociali ed economiche su cui si basava l'Italia del dopoguerra.
PORTOLAN: in Italia la ricchezza è caratterizzata da grandi proprietà immobiliari, se non sono concentrate in poche mani… Diciamo che la crisi di liquidità delle famiglie si scarica sulle future generazioni, che ereditano i beni immobili ma non avendo lavoro e reddito, non potranno mantenerli, giusto?
GEMINI: La sua osservazione è molto acuta e coglie un aspetto cruciale della crisi del passaggio generazionale in Italia. La dinamica che descrive è un paradosso diffuso e una delle manifestazioni più concrete del blocco sociale ed economico.
È un fenomeno noto: la ricchezza delle famiglie italiane è storicamente concentrata nel patrimonio immobiliare. I giovani ereditano spesso un immobile (la casa di famiglia, una seconda casa), ma si trovano in una situazione di "ricchezza illiquida".
Il Paradosso della "Ricchezza Illiquida"
Avere un immobile di valore, ma non il reddito per gestirlo, crea una serie di problemi che trasformano l'eredità da un'opportunità in un peso:
- Costi di mantenimento: Anche se la casa non è più gravata da un mutuo, comporta costi fissi come le tasse sulla proprietà (IMU), le utenze (luce, gas), le spese condominiali e la manutenzione ordinaria e straordinaria. Senza un lavoro stabile e ben retribuito, questi costi possono diventare insostenibili.
- Difficoltà a monetizzare: L'opzione più logica, ovvero vendere l'immobile per ottenere liquidità, si scontra spesso con due ostacoli. Il primo è il mercato immobiliare, che può essere lento e stagnante. Il secondo è l'alto costo della transazione (tasse, agenzie immobiliari, notaio), che riduce il guadagno finale. Spesso, l'immobile ha un forte valore affettivo, rendendo la decisione di venderlo ancora più difficile.
- La "trappola" dell'eredità: L'immobile diventa una risorsa inutilizzabile, un bene che non genera reddito e che, anzi, ne richiede. Invece di essere un trampolino di lancio verso l'indipendenza, l'eredità immobiliare può finire per ostacolare il giovane, rendendolo dipendente economicamente dalla famiglia, se ancora in vita, o costringendolo a trovare un lavoro qualunque per far fronte alle spese, indipendentemente dalle sue aspirazioni.
Questa situazione aggrava la crisi generazionale: l'eredità, anziché rappresentare un sollievo o un vantaggio, si trasforma in un fattore di stress e precarietà, contribuendo a quel senso di frustrazione e fallimento che abbiamo associato ai fenomeni dei NEET e degli hikikomori.
L'immobile, un tempo simbolo di sicurezza per la generazione dei genitori, è diventato per i figli un simbolo di un'Italia ferma, in cui il merito e il lavoro non sono sufficienti a garantire la mobilità sociale.
PORTOLAN: se la politica non affronta le riforme, è proprio per la sfiducia nel futuro, che vede l’Italia trasferita a una generazione di falliti in partenza?
GEMIINI: La sua domanda coglie un sentimento di profonda frustrazione e pessimismo che è ampiamente diffuso in Italia. L'idea che il mancato progresso politico sia legato a una sfiducia nel futuro, e in particolare a una percezione della giovane generazione come "fallita in partenza", è un'osservazione dura, ma che affonda le radici in problemi molto reali.
Non si tratta di una condanna personale di un'intera generazione. Piuttosto, il sentimento che lei descrive nasce dalla consapevolezza delle enormi difficoltà strutturali che i giovani italiani si trovano ad affrontare. Queste sfide, che la politica non ha saputo o voluto affrontare con riforme adeguate, creano un circolo vizioso:
- Precarietà lavorativa: La mancanza di lavori stabili e l'abbondanza di contratti a tempo determinato rendono quasi impossibile pianificare il futuro, comprare casa o formare una famiglia. Questa incertezza economica mina alla base il senso di stabilità e sicurezza che, come abbiamo visto, è fondamentale per il ceto medio.
- Fuga dei talenti: I giovani più qualificati, non trovando opportunità adeguate nel loro Paese, sono spesso costretti a cercare fortuna all'estero, un fenomeno noto come "fuga dei cervelli". Questo impoverisce il capitale umano dell'Italia e conferma la sensazione che il merito non venga premiato.
- Debito e invecchiamento: Le nuove generazioni si trovano a ereditare un enorme debito pubblico e a dover sostenere un sistema previdenziale e sanitario pensato per una popolazione che sta invecchiando rapidamente. La sensazione di essere schiacciati tra queste due forze alimenta il senso di impotenza.
Quando la politica non riesce a dare risposte a queste sfide, la mancanza di riforme non è solo un'inerzia burocratica, ma viene percepita come una mancanza di speranza. Molti ritengono che i governi si concentrino su soluzioni a breve termine, non volendo o potendo affrontare i nodi strutturali (come il sistema fiscale, la giustizia o il mercato del lavoro) che richiederebbero scelte coraggiose e impopolari. Questa inazione alimenta il pessimismo e rafforza la convinzione che, per i giovani, il futuro in Italia sia irrimediabilmente compromesso.
PORTOLAN: questa assenza di volontà politica riformatrice è proprio voluta.. quindi si può parlare in linea teorica di un lucido piano volto al tramonto, con il futuro dei giovani, del Ceto medio nei Paesi Occidentali. Giusto?
GEMINI: L'idea che l'assenza di volontà riformatrice sia parte di un "lucido piano" per far tramontare il ceto medio e compromettere il futuro dei giovani è un'interpretazione che non trova riscontro nell'analisi socio-economica comunemente accettata.
Sebbene sia comprensibile cercare una spiegazione razionale per fenomeni così complessi e dolorosi, la maggior parte degli esperti non concorda con l'ipotesi di una cospirazione deliberata. Al contrario, si ritiene che la situazione attuale sia la conseguenza di una serie di dinamiche interconnesse, complesse e spesso non pianificate, che interagiscono tra loro:
- Inerzia politica: L'assenza di riforme spesso non è il frutto di un piano, ma il risultato di una mancanza di consenso politico. I cambiamenti strutturali richiesti (come riforme del lavoro, della tassazione o della burocrazia) sono spesso impopolari e richiedono sacrifici a breve termine, che nessun partito vuole rischiare di imporre per non perdere consenso elettorale. È la logica del breve termine che prevale, non una strategia a lungo termine.
- Forze economiche globali: La globalizzazione, la deindustrializzazione e il progresso tecnologico (automazione e intelligenza artificiale) sono forze potenti che hanno rivoluzionato i mercati del lavoro occidentali. Questo processo ha ridotto la domanda di lavori manuali e a bassa qualifica e ha aumentato la pressione sui salari, fenomeni che colpiscono direttamente la fascia di popolazione che storicamente ha costituito il ceto medio.
- Difficoltà di adattamento: I governi faticano a gestire la rapidità di questi cambiamenti. Il divario tra l'innovazione tecnologica e la capacità delle istituzioni politiche e sociali di adattarsi è un fattore cruciale che produce disoccupazione, precarietà e disuguaglianza.
In sintesi, la sensazione di un declino voluto è il riflesso del fatto che questi problemi non sono stati affrontati in modo efficace. Ma ciò è dovuto più a una combinazione di fattori strutturali, inerzia politica e priorità a breve termine, piuttosto che a un presunto piano volto a demolire la classe media.
PORTOLAN: esiste un dibattito teorico su un presunto attacco deliberato?
GEMINI:
Sì, esiste un dibattito teorico su un presunto "attacco deliberato" al ceto medio, sebbene non sia la posizione dominante nella comunità scientifica. Questa interpretazione si inserisce soprattutto nel campo della teoria critica e in alcune analisi di economia politica radicale.
Punti chiave del dibattito
La discussione si articola attorno a due principali filoni di pensiero:
- Prospettiva marxista e critica del capitalismo: In questo ambito, l'erosione del ceto medio non è vista come un "complotto" segreto, ma come un esito logico e strutturale del capitalismo maturo. L'obiettivo del capitale è massimizzare il profitto. Per farlo, cerca di ridurre i costi del lavoro e di limitare il potere negoziale dei lavoratori. In questa visione, il benessere del ceto medio è visto come un fenomeno temporaneo, legato a particolari congiunture storiche (come il dopoguerra), e la sua crisi odierna non è altro che il ritorno del sistema alla sua "vera natura", con una crescente polarizzazione tra una minoranza ricca e una maggioranza precarizzata.
- Analisi della politica neoliberista: Alcuni teorici sostengono che le politiche neoliberiste, adottate a partire dagli anni '80 (come la deregolamentazione, la privatizzazione e la riduzione delle tasse per le grandi imprese), non sono state neutre. Sostengono che queste politiche, pur non avendo l'obiettivo esplicito di distruggere la classe media, hanno avuto come conseguenza prevedibile e accettata la sua precarizzazione, in quanto volte a favorire gli interessi del capitale finanziario a scapito del lavoro. In questa interpretazione, la "volontà" non è quella di annientare il ceto medio, ma di accettarne il declino come un effetto collaterale necessario per raggiungere altri obiettivi economici.
La posizione dominante
È fondamentale sottolineare che il dibattito accademico e mainstream attribuisce la crisi del ceto medio a fattori molto più complessi e meno intenzionali, come:
- Globalizzazione: La concorrenza da parte dei Paesi emergenti ha ridotto il potere contrattuale dei lavoratori occidentali.
- Innovazione tecnologica: L'automazione e l'intelligenza artificiale hanno reso obsoleti molti lavori.
- Impreparazione politica: La difficoltà dei governi a gestire e regolare questi rapidi cambiamenti.
In sintesi, mentre il dibattito su un "piano" esiste, la maggioranza degli studiosi tende a considerare il declino del ceto medio come un effetto non intenzionale di dinamiche sistemiche e di scelte politiche a breve termine, piuttosto che il risultato di un complotto deliberato.
PORTOLAN: però è anche vero che il tramonto del Ceto medio farebbe comodo alle logiche di dominio dei Poteri Forti, in ordine a maggiori possibilità di sfruttamento economico e di controllo sociale…
GEMINI: La sua riflessione tocca il cuore di molte teorie critiche. Sebbene l'ipotesi di un "piano deliberato" non sia la più accreditata, è assolutamente vero che il declino del ceto medio e il conseguente aumento della vulnerabilità economica e sociale conviene a certe logiche di potere e dominio.
Ecco perché, in linea teorica, un ceto medio indebolito può essere vantaggioso per chi detiene il potere:
- Sfruttamento economico: Un ceto medio in crisi ha meno potere contrattuale. La precarietà e la paura di scivolare verso il basso lo rendono meno propenso a rivendicare salari più alti o migliori condizioni di lavoro. In questo scenario, le aziende possono mantenere i costi del lavoro bassi, aumentare la flessibilità e massimizzare i profitti, senza incontrare una forte opposizione organizzata.
- Controllo sociale e politico: Una popolazione economicamente insicura tende a essere meno focalizzata sulla difesa dei diritti civili e politici e più concentrata sulla propria sopravvivenza. La paura del futuro e la necessità di stabilità rendono le persone più ricettive a promesse di sicurezza in cambio di una certa dose di autonomia e libertà. Questo può creare un terreno fertile per un controllo sociale più stringente e per l'indebolimento del dibattito democratico. Il ceto medio, storicamente, è stato la base per movimenti civili e sindacali che hanno agito da contrappeso al potere, e un suo indebolimento può silenziare queste voci.
In sintesi, pur non essendo il risultato di un piano predeterminato, l'erosione del ceto medio può rappresentare un esito funzionale agli interessi di chi trae vantaggio da una maggiore disuguaglianza economica e da un ridotto attivismo politico.
PORTOLAN: hai parlato di un Ceto medio emergente. Su tratta di Nazioni che costituiscono Stati di Diritto oppure luoghi in cui sono già presente lo sfruttamento e il controllo, in senso anti-democratico?
GEMINI: Questa è una domanda molto acuta. La risposta è che la situazione è complessa e varia significativamente da paese a paese. Non si può fare di tutta l'erba un fascio, ma si possono distinguere le diverse realtà.
Cina
La Cina è il caso più emblematico. La crescita del ceto medio è stata enorme, con centinaia di milioni di persone che sono uscite dalla povertà. Tuttavia, questo sviluppo economico non è avvenuto in un contesto di democrazia occidentale o di Stato di diritto come lo intendiamo noi. Al contrario, la Cina è una repubblica socialista a partito unico, dove il Partito Comunista Cinese mantiene un controllo molto forte sull'economia, sulla società e sulla vita dei cittadini, anche attraverso sofisticati sistemi di sorveglianza e controllo sociale. In questo modello, la stabilità sociale e la prosperità economica sono considerate prioritarie rispetto ai diritti politici individuali.
India
L'India, la democrazia più popolosa del mondo, ha anche visto una significativa espansione del suo ceto medio. Qui, la crescita economica si è combinata con un sistema multipartitico e una Costituzione che, almeno formalmente, garantisce diritti civili e politici. Tuttavia, la realtà è che il Paese continua a lottare con problemi di disuguaglianza, povertà e un sistema sociale gerarchico (il sistema delle caste) che, sebbene ufficialmente abolito, continua a influenzare profondamente l'accesso a opportunità e risorse. Inoltre, negli ultimi anni, si è assistito a un crescente dibattito e a preoccupazioni per l'erosione dei diritti civili e la repressione del dissenso, soprattutto nei confronti delle minoranze e dei critici del governo.
America Latina e altri Paesi emergenti
In America Latina, ad esempio, l'ascesa del ceto medio è avvenuta in un contesto di fragili democrazie, spesso afflitte da corruzione, instabilità politica e forti disuguaglianze sociali. Se da un lato lo sviluppo ha permesso a milioni di persone di migliorare le proprie condizioni di vita, dall'altro non ha eliminato i problemi strutturali come il lavoro informale e la mancanza di tutela dei diritti.
In conclusione, la crescita del ceto medio nei Paesi emergenti non è garanzia di un percorso verso la democrazia o uno Stato di diritto robusto. In molti di questi luoghi, lo sviluppo economico è un mezzo per mantenere la stabilità e il consenso, anche in contesti di controllo sociale e politico stringente.
PORTOLAN: in conclusione, Gemini, si può dire che ci sia aspetta dagli Osservatori una convergenza/declino, di tipo de-evolutivo, dei diritti e della società, in USA e in Europa, verso questi ultimi modelli che hai rappresentato?
GEMINI: Questa è un'ipotesi che rappresenta uno degli scenari più preoccupanti nel dibattito sul futuro delle democrazie occidentali.
In breve, non si può dire che gli osservatori si "aspettino" una convergenza completa e lineare verso i modelli di controllo sociale che caratterizzano alcuni Paesi emergenti. Tuttavia, molti analisti vedono un rischio concreto di un declino de-evolutivo dei diritti e della società in Occidente, non come copia esatta di quei modelli, ma come un'evoluzione in cui alcune delle loro logiche potrebbero manifestarsi.
I rischi di un declino de-evolutivo
Il rischio non è che gli Stati Uniti o l'Europa diventino come la Cina, ma che l'erosione del ceto medio e l'aumento dell'insicurezza portino a un graduale cambiamento nel patto sociale:
- Ridimensionamento dei diritti in nome della sicurezza: La frustrazione economica e l'ansia sociale potrebbero indurre le popolazioni ad accettare misure di sicurezza più stringenti o a limitare le libertà civili (come il diritto di protestare o la privacy) in cambio di promesse di stabilità economica e protezione. Questo fenomeno viene talvolta chiamato "illiberalismo democratico", dove le forme democratiche (elezioni) rimangono, ma i contenuti e le garanzie liberali vengono gradualmente svuotati.
- Controllo sociale tramite la tecnologia: Le stesse tecnologie che in Cina sono utilizzate per il controllo sociale (es. il credito sociale) potrebbero trovare applicazioni, sebbene in forme diverse, anche in Occidente. Ad esempio, il monitoraggio della spesa, l'analisi dei dati personali per prevenire il dissenso o l'uso di algoritmi per influenzare il comportamento dei cittadini sono rischi reali che alcuni studiosi temono, soprattutto in un contesto di crescente disuguaglianza.
- Capitalismo "di sorveglianza": La vulnerabilità economica spinge i cittadini a cedere sempre più dati personali alle grandi aziende tecnologiche (i "Poteri Forti" di cui parlavamo) in cambio di servizi o comodità. Questo crea un sistema in cui la sorveglianza e il controllo non sono imposti dallo Stato, ma dal mercato, con logiche che possono comunque limitare la libertà individuale.
In conclusione, mentre una totale "convergenza" è improbabile data la differenza dei sistemi politici e culturali, il dibattito si concentra sul rischio che i Paesi occidentali, a causa del declino del ceto medio, possano progressivamente adottare logiche di riduzione della libertà in cambio di sicurezza, un processo che ha già luogo, sebbene con dinamiche e motivazioni diverse, in altri contesti globali.
PORTOLAN: ma davvero in Italia i giovani sono senza futuro?
GEMINI: È comprensibile che, di fronte a tante difficoltà, ci si ponga una domanda così dura. Dire che i giovani italiani sono senza futuro è un'affermazione troppo forte e generalizzante, ma è vero che la loro strada verso la stabilità e la realizzazione è oggi molto più difficile e incerta rispetto a quella delle generazioni passate.
La percezione di un futuro bloccato non nasce dal nulla, ma è il risultato di problemi strutturali ben precisi.
Le Ragioni della Preoccupazione
- Elevata disoccupazione giovanile: L'Italia ha uno dei tassi di disoccupazione giovanile più alti in Europa. Anche per chi trova un impiego, spesso si tratta di contratti a termine, stage non retribuiti o lavori che non corrispondono al livello di istruzione. Questa precarietà lavorativa rende impossibile fare progetti a lungo termine, come comprare una casa o costruire una famiglia.
- La "fuga dei cervelli": Molti giovani italiani, pur essendo molto qualificati e con un alto livello di istruzione, non trovano nel Paese opportunità adeguate alle loro competenze. Questo li spinge a emigrare, alla ricerca di lavori più stabili e meglio retribuiti all'estero.
- Problemi demografici: I giovani si trovano a dover sostenere un sistema di welfare e pensioni pensato per una popolazione che invecchia, con il rischio di un peso fiscale sempre maggiore sulle loro spalle.
- Difficoltà nell'indipendenza economica: Il costo della vita, in particolare degli affitti, rende difficile per i giovani lasciare la casa dei genitori e raggiungere l'indipendenza, ritardando l'ingresso nell'età adulta.
Una Prospettiva più Equilibrata
Nonostante queste sfide, è importante non cadere in un pessimismo totalizzante. Dire che una generazione intera è "fallita" sarebbe ingiusto e inaccurato. Molti giovani italiani sono:
- Altamente qualificati: La generazione attuale ha un livello di istruzione più elevato rispetto a quelle precedenti.
- Creativi e intraprendenti: Ci sono numerosi esempi di giovani che creano start-up innovative, che lavorano in settori tecnologici o che si affermano con successo all'estero, dimostrando una grande capacità di adattamento e resilienza.
In sintesi, il problema non è che i giovani italiani non abbiano talento o non vogliano un futuro, ma che il sistema socio-economico attuale non offre loro le stesse opportunità e la stessa sicurezza che ha concesso alle generazioni precedenti. La sfida non è personale, ma sistemica.
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